La nuova impresa di Zanardi
Trascina Eric fino all’arrivo
L’amico disabile non ce la fa più: Alex lega la carrozzina alla sua, supera bora, freddo,
acqua alta, ponti e un guaio meccanico. «Che squadra! Meglio di un oro olimpico»
Eric Fontanari, categoria diversamente abili, 8˚ in 3h11’37". Dietro a quel nome e
a quel piazzamento c’è un’epopeache ha segnato la 27ª Venice Marathon. Più dei 10˚ alla
partenza, delle folate di bora aspazzare la faccia degli atleti dal primo al 42˚ km, della pioggia
e dell’acqua alta che ha bagnato i piedi dei 5931 coraggiosi capaci di arrivare. Eric è un
ragazzo di Pergine Valsugana rimasto tetraplegico dopo un incidente
domestico che gli ha lasciato la forza nelle braccia, ma non nelle mani. Sognava di partecipare
alla maratona di Venezia, ma sentiva di non avere le energie per completare i 42
km. Poi ha conosciuto Alex Zanardi e il sogno si è trasformato in un’idea realizzabile. Pierino
Dainese, decano dell’handbike, gli ha costruito un mezzo adatto, col freno a contropedale e il
cambio che si può azionare col mento. L’avventura poteva avere inizio.
Spingere e trainare Già l’anno scorso, a Venezia, l’ex pilota di F1 aveva portato con sé Francesco
Canali. Quest’anno il nuovo biolimpionico ha modificato la propria handbike con una specie
di paraurti, per sospingere Eric verso Riva Sette Martiri. Fino al 25˚ chilometro lo splendido,
folle piano ha funzionato. «Nonostante il freddo e la bora a 45-50 km/h andavamo forte,
anche a 20 km/h. Poi Eric ha preso un paio di marciapiedi. Andava a sinistra, verso le transenne,
il freddo gli stava provocando delle contrazioni muscolari.
Gli abbiamo messo un maglione dietro la schiena, ma non ce la faceva. Ci siamo fermati
sotto un portico, a Mestre e lì ho pensato che fosse il caso di chiamare i genitori perché ci
venissero a prendere. Conosco Venezia, senza una guida sicura c’è il rischio di finire in acqua,
ma poi mi sono detto che non potevamo mollare». Questione di cuore, ma anche di testa.
Lì è venuto fuori il meccanico che è in Alex. Con l’aiuto di Dainese, anche lui in gara, Zanardi
ha trovato la soluzione.
«Da un bidone della spazzatura è spuntata una corda. Abbiamo smontato la ruota anteriore della
carrozzina di Eric, l’ho legato dietro a me e siamo ripartiti.
Un grande lavoro di squadra, sembravamo l’A-Team». Cambio riparato Il nuovo assetto
sembrava funzionare. «Da dietro Eric mi urlava "Vai trattore, che ce la facciamo, arriviamo al
traguardo!"». A San Giuliano, però, Zanardi si è accorto di non poter cambiare marcia. «Si
era rotto il cavo del cambio. Ho fatto tutto il ponte della Libertà con l’11, un rapporto durissimo,
controvento e con la pioggia.
Sono arrivato alla rampa d’accesso a Venezia sfinito, ci aspettavano i ponti e senza poter
cambiare sarebbe stata durissima. Così ci siamo fermati di nuovo, i ragazzi dell’organizzazione
hanno tirato fuori un pezzo di nastro e siamo riusciti a steccare la guaina del freno.
Ho guadagnato 5 rapporti, col 21 si andava molto meglio».Sui ponti, in salita, col peso di
due carrozzine sulle spalle e la ruota anteriore con poco grip, Zanardi è riuscito comunque
ad affrontare l’ultimo tratto, nonostante l’acqua alta che lambiva la fondamenta delle Zattere.
L’ultimo metro A Zanardi restava una preoccupazione: trovare il modo per far tornare Eric
davanti a lui. Così a pochi cm dal traguardo è sceso dalla carrozzina, è rimasto a terra sui
monconi e ha sospinto il ragazzo a braccia. «Vincere le medaglie olimpiche soddisfa il tuo lato
narciso, ma giornate così ti fanno capire che sentirsi parte di una squadra ti regala una gioia
più grande, perché la conquista è arrivata grazie alla condivisione della fatica e del lavoro.
Alla fine ci siamo guardati in faccia. Tremavamo come foglie per il freddo e la fatica, ma eravamo
felici».
© RIPRODUZIONE RISERVATA